Se il problema sono le precauzioni

daniele scaglione
4 min readMar 14, 2021

Il mio primo lavoro è stato quello del tecnico di radioprotezione. Le radiazioni ionizzanti hanno una marea di applicazioni: impianti antincendio, saldature, medicina diagnostica, medicina di terapia, analisi di tipo industriale e altre ancora che fatico a ricordare. Il mio compito era verificare che queste applicazioni funzionassero bene, senza spargere in giro radiazioni o contaminazione.

Inoltre eseguivo controlli in ambienti in cui c’era il rischio di trovare tracce di materiale radioattivo. Uno di questi luoghi era un deposito di scorie provenienti da centrali nucleari, un altro era una miniera di talco. Per la cronaca, mentre nel primo luogo non abbiamo mai riscontrato alcuna contaminazione, nel secondo abbiamo visto dei valori di radioattività decisamente elevati.

Nel giro di qualche tempo mi sono reso conto che tutto ciò che coinvolgeva le radiazioni ionizzanti era sottoposto a un numero di controlli e precauzioni impressionante. Negli anni in cui ho fatto quel mestiere ho visto ambienti estremamente sicuri, come non mi è mai più successo in seguito. Spazi, persone, alimenti… tutto era rigorosamente controllato, in modo frequente e talvolta pure permanente. Eppure conoscenti e amici pensavano che io facessi un lavoro pericoloso.

Molti controlli, molti pericoli

Sempre con il tempo, ho capito che esisteva un perverso cortocircuito: più si procedeva con cautela nell’uso della radioattività più si alimentava la diffidenza nei confronti delle attività che ne producevano. «Se in questo settore ci sono così tanti controlli — è il pensiero — significa che il settore è molto pericoloso».

E se per rassicurare le persone si aumentano i controlli, può succedere che molte di loro pensino che è sempre più pericoloso.

Un amico che da decenni scrive di ciclismo ai massimi livelli mi ha spiegato che il nobile sport a pedali è uno dei più controllati in assoluto. È difficile trovare un’altra disciplina dove ci siano così tanti controlli anti-doping. Eppure, per molti il ciclismo è lo sport dei dopati per eccellenza. Più si aumentano i controlli, più si intensificano le punizioni, più questa percezione aumenta.

Con i vaccini contro la Covid-19 la storia sembra ripetersi: i protocolli sono severi e stringenti, sono stati applicati in fase di preparazione e ancora si applicano durante la somministrazione. Se alcune persone si ammalano dopo aver ricevuto una dose di vaccino, o addirittura muoiono, i protocolli prevedono che ci sia un ulteriore controllo, anche quando questi malanni e decessi non sono in sé significativi.

Non siamo animali statistici

Detta male: le persone si ammalano e muoiono, anche se giovani, anche se in salute (trascurando le morti violente, naturalmente). Se andiamo a prendere milioni di persone, qualche — pochi — caso di malattie e decessi li troviamo. Se questi milioni di persone si sono vaccinate, la situazione non cambia: si potranno sempre trovare casi — pochi — di malattie e decessi che nulla c’entrano con l’aver ricevuto il vaccino.

Ma, per precauzione, per essere sicuri che si tratti di una coincidenza e non di un rapporto causa-effetto, si fanno ulteriori controlli, si sospende la somministrazione dei vaccini stessi. Si fa così, per garantire la massima sicurezza possibile. Questo, però, genera problemi. La sospensione di un lotto, l’interruzione della somministrazione di un vaccino, spaventano. Una misura che migliora la sicurezza, può far sentire molte persone più insicure.

Ma non è che da un lato ci siano gli emotivi spaventati, dall’altro i razionali tranquilli.

La situazione temo sia più complicata, perché non siamo animali che regolano il proprio comportamento a partire dalle statistiche. Credo che qualsiasi persona dotata di buon senso riconosca che la possibilità di rimanere uccisa o danneggiata dal vaccino AstraZeneca sia infinitamente minore di quella di rimanere uccisa o ferita in un incidente stradale. Eppure non controlliamo ossessivamente la pressione delle ruote, elemento cruciale per la tenuta di strada in caso di frenate improvvise.

Forse il fatto è che con il rischio di farci male guidando siamo venuti a patti, con i possibili danni di un vaccino ancora no. E questo non c’entra con il fatto che il primo evento sia molto — tanto molto — più probabile del secondo. Una persona a me cara è stata vaccinata con lo stesso lotto della persona che è deceduta, nel biellese. Ragiono e so che non vuol dire nulla, ma la cosa non mi lascia indifferente.

Pazienza e tolleranza

Posso fare un altro esempio, che confesso con un certo imbarazzo: nelle settimane seguenti a un grande attentato terroristico mi è capitato di provare molta paura — proprio fifa nera — a viaggiare su un mezzo pubblico. Potevo ripetermi quanto volevo che avevo più probabilità di vincere al totocalcio che essere coinvolto in un attentato: la paura non passava.

La soluzione, ammesso che esista, non credo che sia far vincere la ragione sull’emozione. O meglio: alla fine le decisioni su cose come la salute è meglio che le prendiamo usando la ragione. Ma l’emozione ha un ruolo e volerlo cancellare è illusorio e forse neppure auspicabile. Dobbiamo riconoscerlo e legittimarlo.

Continuiamo a usare precauzioni per migliorare sempre la nostra sicurezza, nella sanità e non solo. Senza però soprenderci se, per qualcuno, maggiori precauzioni significano maggior pericolo. Soprattutto, non diamo addosso, a questo qualcuno: tutte e tutti noi funzioniamo così, con decisioni che prendiamo guidati sia dall’emozione che dalla ragione.

Quella volta che sono sceso dall’autobus tre fermate prima della mia ho fatto senz’altro una cosa irragionevole, ma andava bene così e non sento di aver fatto una cretinata. Certo, si può obiettare che fare un po’ di strada a piedi non provoca danni per la salute — anzi! — quindi non lo si può mettere sullo stesso piano del rifiuto di un vaccino. Resta il fatto che dobbiamo armarci di pazienza e tolleranza, verso gli altri, verso noi stessi.

Foto di Pixabay su Pexels

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daniele scaglione

Sono un fisico dirottato. Vivo grazie alla formazione e alla radio. Ho scritto 'Più idioti dei dinosauri' (e/o, 2022). www.diffrazioni.it