L’estremismo del valor medio

L’altro giorno, un conoscente mi ha detto:
«Con il freddo infame di questi giorni, come fai ancora a credere alla balla del riscaldamento globale?»
Gli anglosassoni, più avveduti, parlano infatti di ‘climate change’. Cambiamento climatico, insomma, in cui rientrano anche i fenomeni atmosferici estremi, tra cui i giorni di neve e freddo più intensi.
Ma giorni di questo genere — cioè, freddi — ne avremo sempre meno. Perché il valor medio della temperatura è inesorabilmente in rialzo, anno dopo anno. Come spiega bene il professor Riccardo Reitano, sua figlia adolescente vive in un clima globale più caldo di circa mezzo grado rispetto a quando l’adolescente era lui.
Ma il rapporto di noi esseri umani con la statistica è piuttosto tormentato, e i valori medi facciamo proprio fatica a percepirli.
Noi che viaggiamo frequentemente in treno, in genere, non abbiamo la minima idea di quale sia il «ritardo medio» che dobbiamo subire. Però abbiamo perfettamente presente quelle volte in cui il treno è stato in ritardo di oltre mezz’ora.
E sono quei viaggi sciagurati, a restarci nella testa. Insomma, ragionando sui singoli episodi, lo facciamo peggio di quello che è, il muoversi con i treni.
Sul riscaldamento globale — meglio, sul climate change — ci accade esattamente l’opposto: la singola esperienza ci porta a pensare che la situazione sia migliore di quella che è in realtà.
Anche questo è un problema da risolvere, se vogliamo lasciare ai nostri figli un pianeta dove possano sopravvivere, insieme alle loro famiglie. «I nostri figli» non per modo di dire, ma in senso letterale.
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Qui si trovano le statistiche dei ritardi di Trenitalia. La faccenda è decisamente critica (il 64% dei treni è in ritardo… il sessantaquattro percento! È veramente il caso di un’azienda salvata dal monopolio). Però, dai, l’avreste mai detto, che il ritardo medio è di soli 11 minuti?